REDAZIONE CULTURA.
Si è svolto sabato 19 agosto alle ore 18.00, presso le sale del Museo dell’Artigianato Ceramico Abruzzese, all’interno del Palazzo della Cultura di Pianella, l’incontro con Remo di Leonardo che ha presentato “La zuppiera - La Zuppìre. Le forme ceramiche parlano in dialetto: pruvierbe e mode de dece…dotte ‘n pianellose”.
Grande soddisfazione, da parte del Direttore del Museo Diego Troiano che ha dichiarato - Ho particolarmente apprezzato l'atmosfera amicale che si è creata, perchè è stata non solo una mostra o una conferenza, ma soprattutto un gruppo di amici che si sono incontrati, contribuendo con la conversazione alla riuscita dell'evento.
L'importante è stato trasmettere il concetto di centralità delle ceramiche d'uso quotidiano nella nostra vita; in particolar modo fino agli anni del dopoguerra quando nelle nostre case molti erano gli oggetti in ceramica che si utilizzavano, per cucinare, per mangiare e per la conserva.
Da qui i nomi in dialetto di questi oggetti, quasi in senso antropologico, proprio nel territorio pianellese, perchè un Museo tipo il nostro è parte integrante della comunità dove si trova -.
Ha poi continuato il Direttore - ringrazio Remo di Leonardo che ha saputo cogliere appieno questi concetti e ci ha restituito, con garbo e con ironia i nostri proverbi, i nostri modi di dire.
Ringrazio l'amministrazione comunale nella figura del sindaco Teddy Manella e Davide Berardinucci perchè è importante che le istituzioni siano presenti nella vita culturale di una comunità.
Ringrazio le tre ragazze del servizio civile che hanno aiutato nell'organizzazione Alice Di Matteo, Alice Sinni e Flavia Di Girolamo, quest'ultima ha realizzato anche gli scatti fotografici che qui vi presento, grazie anche a tutti i partecipanti - .
Riportiamo qui di seguito un estratto dell’intervento di Remo di Leonardo e in appendice l’elenco dei nomi delle forme ceramiche e “pruvierbe e mode de dece…dotte ‘n pianellose”.
[…] Nell’epoca della globalizzazione, in cui Internet regna sovrano, dove le comunicazioni avvengono attraverso congegni elettronici che, da una parte sono il frutto di un progresso inevitabile, ma dall’altra ci tolgono il piacere di comunicare guardandoci negli occhi, parlare del dialetto può sembrare anacronistico.
Non è così: il dialetto fa parte del bagaglio culturale che ognuno di noi porta sulle spalle ed è l’inevitabile segno che ci fa dire che apparteniamo ad un certo luogo, ad un certo tempo e che ci identifica e ci colloca nel posto preciso della nostra storia personale.
Il dialetto dà nuova forma alle parole, riesce a rendere l’idea prima ancora di ridurla in termini precisi, a volte armonizza e a volte indurisce.
Il dialetto è l’espressione di un popolo, è come un abito fatto su misura, è come una spugna che assorbe fatti, episodi, luoghi, persone e che restituisce fatti, episodi, luoghi, persone con profilo e identità precisi, ma soprattutto con un’anima.
Amare il dialetto, usarlo nel nostro quotidiano, insegnarlo ai nostri figli, significa amare noi stessi, significa essere possessori di una grande eredità: l’eredità della nostra storia.
Occorre, pertanto, all’interno del più ampio disegno della letteratura nazionale recuperare questo patrimonio linguistico in vernacolo in tutta la sua ricchezza, varietà, bellezza e significato.
[…] I proverbi sono un’espressione popolare che indicano, sinteticamente, un concetto, una massima e di solito sono in rima o sotto forma di assonanza o allitterazione. Questi riflettono tradizioni, usi e costumi e danno un contributo sostanziale per il recupero del patrimonio culturale locale. Da essi, infatti, emergono i caratteri salienti, gli usi e i costumi della realtà locale. In buona sostanza rappresentano un patrimonio culturale da difendere e da preservare, visto che ci lasciano una traccia del cammino percorso dai nostri antenati. Purtroppo questo patrimonio sta disperdendosi e spesso le nuove generazioni non lo riconoscono. È per non dimenticare la nostra cultura, quindi, che nasce questo nostro tentativo.
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ELENCO DEI NOMI DELLE FORME CERAMICHE
ACQUASANTIERA, acquasantìre.
ANFORA, lu vase, dim. lu vasotte.
Per i proverbi e modi di dire: vedere VASO.
BACILE, lu vaccèle.
Tenò lu vaccèle d’ore pe’ jettà lu sangue dondre.
Avere il bacile d’oro per buttarci il sangue dendre.
BICCHIERE, lu bicchìre.
Sa perse dondre nu bicchìre d’acque
Perdersi in un bicchiere d’acqua
A che te rehale ‘na votte de vene dajene almone nu bicchìre
A chi ti dona un barile di vino, dagliene almeno un bicchiere.
Capelle e bicchìre nen’è mi’ troppe
Capelli e bicchieri non son mai troppi.
E’ pereculose assettars’ vecene a le bicchìre
È pericoloso sedere vicino ai bicchieri.
L’inni passe e le bicchìre n-ze conde mi’
Gli anni e i bicchieri di vino non si contano mai.
Se n’affonne chiù a le bicchìre, che a llu mare.
Ne affogano più nei bicchieri, che nel mare.
Nesciune po’ sapò quolle che succede tra la vocche e lu bicchìre.
Nessuno potrà sapere quel che avverrà tra la bocca e il bicchiere.
Pe’ farse n’amecezie n’avaste nu bicchìre de vene, pe’ mandenorle n’avaste na votte.
Per farsi un amico basta un bicchiere di vino, per conservarlo, non basta una botte.
Spalle a lu foche, panze a la tahule e bicchìre pione.
Spalle al fuoco, pancia al tavolo e bicchiere pieno.
Nu bicchìre e nu vasce nen leve la sote.
Un bicchiere e un bacio non levan la sete.
Na resate è nu bicchìre de salute
Una risata è un bicchiere di salute.
La veretà se tro a lu fonne de lu bicchìre
La verità è in fondo al bicchiere.
BOCCALE, lu vecale.
Che vove a lu vecale, vove quande i pare.
Chi beve al boccale, beve quando gli pare.
Nu vecale de birre è nu pranze da ro
Un boccale di birra è un pasto da re”.
Quande cande le cecale, vattene a fatejà nghe lu vecale.
Quando cantano le cicale, vattene a lavorar con il boccale.
BOTTIGLIA, la buttèje.
Le carte e la buttèje de lu huene fa duhuendà povere.
Le carte e la bottiglia sono le bandiere della povertà.
A chi je te sote, na sola hocce d'acqua ja vaste, ma pe’ che sta già ‘mbriache
na buttèje pione de vene manghe le sende.
Chi ha solo sete, una sola goccia d’acqua gli basta, ma per chi sta già ubriaco
una bottiglia piana di vino neanche lo sente.
Na buttèje de vene affonne le dispiacire.
Una bottiglia di vino affoga i dispiaceri.
BRACIERE, lu vrascire.
La fommene è nu vrascire ca s'aùse sole la sore.
La donna è un braciere che si adopera di sera.
Nghe na scentelle de foche se ‘ngrosse lu foche
Con una scintilla di fuoco si riempie il braciere,
Se t’avvecene troppe a lu vrascire te fa le vove
Se ti avvicini troppo al braciere ti escono le bolle
BROCCA, la brocche.
La brocca rotte n-ze rombe mi’
La brocca rotta non si rompe mai.
A Roma si dice "sbroccare".
La brocche che va a lla fonde o se rombe lu maneche o se rombe
Alla brocca che va alla fonte o si rompe il manico o si rompe.
Tande va la brocche all’acqua che a la fene se rombe.
Tanto va la brocca all’acqua che alla fine si rompe.
CALICE, lu calece.
Da lundane nu vase d’argende pare nu calece d’ore
Da lontano un vaso d'argento pare un calice d'oro.
CASSERUOLA, la pignate.
Vedere
CIOTOLA, la ciotole
A ‘cciacate na ciotele de grasse
Ha pestato la ciotola di grasso
CONCA, la conghe.
Purte sa conghe gna se purtisse nu nede de vespe ‘ngocce.
Avere la testa che sembra un nido d'api.Sovraccarico di pensieri e problemi.
COPPA, la còppe.
COPERCHIO, lu cupierchie.
Le huaje de la pignàte le sa lu cupierchie.
I guai della pentola li sa il coperchio.
Lu diahule ta ‘mbare a fa’ le pignàte ma none le cupierchie.
Il diavolo insegna a far le pentole ma non i coperchi.
Lu troppe fa rombe lu cupierchie
Il soverchio rompe il coperchio.
N-ge sta pignàte cuscè brutte che nen trove lu cupierchie
Non vi è pentola sì brutta che non trovi il suo coperchio.
Ugne pignàte te lu cupierchie a si’
Ogni pentola ha il suo coperchio.
FIASCO, lu fiasche, lu fiascotte.
Sapore huaste è gne lu huene da fiasche.
Gusto guasto è come vin da fiasco.
Lu huene dondre lu fiasche nen leve la sote
Il vin nel fiasco non cava la sete di corpo.
Lu huene da fiasche la sore è bone, la matene è huaste.
Vino di fiasco la sera buono, la mattina guasto.
FISCHIETTO, lu fischiotte, lu cucù.
Fine a cenquand’anne se feschie e se cande, da cenquande a saje poche se feschie e n-ze cande chiù.
Fino a cinquanta si fischia e si canta, da cinquanta in su poco si fischia e non si canta più.
Huardete bbone da la bisce e da la fommene che feschie.
Guardati da biscia e da donna che fischia.
La pahure fa candà e feschià
La paura fa cantare e fischiare.
N-ze po’ bbove e feschià.
Non si può bere e fischiare.
Quande le vuve ne’ vo’ arà , ne’zerve a feschià.
Quando i bovi non vogliono arare, non serve fischiare.
Se te feschie le rocchie cacchedune te sta a penzà
Se ti fischia un orecchio qualcuno ti pensa.
La moje che se ggere a lu feschie, pe’ lu marete è sole nu reschie.
La moglie che si volta al fischio, per il marito è solo un rischio.
Pejà feschie pe’ fiasche.
Prendere fischi per fiaschi.
INSALATIERA, la vazzeje.
Vonne na vazzeje pe nu socchie.
Vendere una grossa insalatiera per un secchio.
OLLA, la pignàte.
Vedere Pentola.
PADELLA, la fressòre.
N’uocchie a la fressore e une a lla hatte
Un occhio alla padella ed uno alla gatta.
Cascà da la fressore a lla vrasce
Cadere dalla padella nella/alla brace:
Fommene, fressore, e lume, se ne fa nu cunzume
Donna, padella e lume, sono gran consumo.
PENTOLA, la pignàte.
Lu diahule ta ‘mbare a ffa’ le pignàte ma non le cupierchie
Il diavolo insegna a fare le pentole ma non i coperchi.
Ugne pignàte de lu cupierchie a si’.
Ogni pignate ha il suo coperchio.
Cambe chiù na pignàte viechie che une nove.
Dura più una pignate vecchia (o fessa) che una nuova,
A la pignàte che volle, la hatte n-za vvecene
A pentola che bolle, gatta non s'accosta.
Le huaje de la pignàte le cunosce la cucchiare
I guai della pentola li sa il mestolo che li rimescola.
Lu calle de lle lenzole nen fa vullè la pignàte.
Il caldo delle lenzuola non fa bollire la pentola.
Lu diahule fa le pignàte ma no’ le cupierchie.
Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.
La pignàte sciambe è quolle che sone
La pentola vuota è quella che suona.
La furie fa rombe la pignàte.
La fretta fa rompere la pentola.
Dure chiù na pignàte viecchie che une nove.
Dura più una pignata vecchia che una nuova.
PIATTO, lu piatte.
Dondre lu piatte addùa ce se magne n-ge se spute.
Dentro il piatto dove si mangia non ci si sputa
Che lecche lu piatte, da’leccà pure’n-derre.
Chi lecca i piatti, deve leccare in terra.
PORTA CANDELE, lu cannelìre.
POSA CENERE, lu posacionere.
TAZZA, la tazze.
Sa fatte ‘na tazze
Per dire che ha bevuto
Nen- dè’ tàzze e bove cafè
Non ha la tazza è beve caffè
TEGAME, la tejelle.
SCALDAMANO, lu scallamìne.
SCODELLA, la ciotele, la scudelle.
Le piette e la scudelle fa la fija belle.
I piatti e la scodella fanno i figli belli.
VASO, lu vase.
Lu vase rotte n-za raggiuste
Il vaso rotto non si ricompone
Lu vase arlavate malamende, lu huene è toste e huastate
In vaso mal lavato, il vino è tosto guastato.
L’acque peje sembre la forme de lu vase
L’acqua prende sempre la forma del vaso.
L’utema hocce facese travuccà lu vase
Per l’ultima goccia trabocca il vaso.
Lu vase che va sembre a la fonde ce lasse lu maneche o la fronde.
Vaso che va spesso al fonte ci lascia il manico o la fronte.
Lu vase sciambe sone male
Vaso vuoto suona male.
VASSOIO, lu vassoie.
Na parole dotte a lu mumende juste e gne l’ore sopre nu vassoie d’argende.
Una parola detta al tempo giusto è come dei pomi d'oro su un vassoio d'argento.
ZUPPIERA, la zuppìre.
E’ na zuppìre rotte
Essere una zuppiera rotta.
A la vete, gne a la zuppìre, ce da jogne mbò de sale ugne tande
Nella vita così nella zuppiera devi aggiungere un po’di sale ogni tanto.
Nen motte la cucchiare alla zuppìre dell’itre
Non mettere il cucchiaio nella zuppiera degli altri.
Na cucchiare pione de fiette vale chiù de na zuppìre pione de cunzeje
Un cucchiaio pieno di fatti vale più di una zuppiera piena di consigli.
Gne le vongole: ve pisciote ‘m-bacce tra de vu’ ma statote sembre a la stosse zuppìre.
Siete come le vongole: vi pisciate in faccia tra di voi ma state sempre nella stessa zuppire.