REMO DI LEONARDO.
Se non riusciamo a leggere questo segno come il suggerimento per ripensare in modo diverso da prima, allora le sofferenze patite saranno vane.
Questa pandemia, ha messo tutto in discussione. Per che cosa viviamo? Perché lavoriamo? Perché non siamo capaci di fermarci? Perché siamo insofferenti alle regole civili? Perché abbiamo perso il senso dello stare in famiglia? Tutte domande che siamo costretti a farci di fronte alla grande paura della morte. Perché quello che ci terrorizza di più è sempre la sofferenza e la morte. La perdita delle persone che amiamo, dei legami d'affetto, delle relazioni d'amore. Questa pandemia ci costringe a pensare. Ci costringe a fare delle valutazioni sulla qualità della nostra vita. Ci costringe a guardarci negli occhi. A passare molto tempo con mogli e figli molto spesso, anche sconosciuti tra gli sconosciuti.
In questi giorni torniamo a sperimentare l'angoscia della morte collettiva, il naufragio delle identità costruite sul lavoro, la fragilità della salute, il dolore della lontananza, la privazione della libertà di movimento.
Non abbiamo neanche il conforto delle cerimonie religiose, che hanno un potere enorme di consolazione - per chi crede - nelle tribolazioni della vita. Chi muore in questi giorni non ha neanche il diritto a un funerale.
Sono giorni durissimi, che avranno conseguenze su tutti gli aspetti della nostra vita e che sedimenteranno nell'inconscio, paure da cui non sarà facile svincolarsi così facilmente.
Questa pandemia c'insegna che abbiamo bisogno di una sanità pubblica e gratuita, di una scuola capace di generare modelli educativi adatti alla complessità del nostro tempo. Abbiamo bisogno di ricerca scientifica e di educazione socio-sanitaria. Abbiamo bisogno di centri specializzati per i disabili e luoghi di rifugio per chi si trova in difficoltà. Abbiamo bisogno di uomini e donne di buona volontà che siano disponibili a lavorare per il bene comune superando l'egoismo e la logica del tornaconto personale.
Abbiamo bisogno di uno stile di vita basato su un sull'ecologia integrale che sia in grado di stabilire un nuovo e più profondo legame con la Madre-Terra.
A fronte di questo non c'è però un risveglio religioso, anzi si è avvertita la spaventata impotenza e l'irrilevanza del fattore religioso; la fede ricacciata nella sfera intima e privata.
In un suo articolo Dopo la pandemia del maggio scorso su "Mondo Nuovo" il filosofo Marcello Veneziani scriveva: "Era ammessa la possibilità di fumare o portare a spasso il cane ma non di andare a messa. Eppure, al di là delle religioni, una quarantena così prolungata, foriera di angosce, psicosi e depressioni di massa, una paura così diffusa, un'irruzione quotidiana del Male e della Morte nelle nostre case tramite i media, avrebbe potuto suscitare un risveglio spirituale, un'attenzione ai grandi temi della vita e della morte, del dolore e della solitudine, dei legami affettivi e solidali. Non è da escludere che il risveglio possa avvenire nel tempo, se riusciremo a tenere viva la memoria di quel che è accaduto o se saremo costretti a convivere con la percezione di un pericolo tornante o minaccioso sul nostro futuro. Così, il monadismo a cui ci ha costretti la quarantena, dopo il nomadismo, potrà produrre due effetti, per analogia o per contrasto: un più radicale individualismo globale o un ritorno di socialità, fino a riscoprire la comunità organica di destino; con l'attacco del covid-19 abbiamo avvertito di essere consorti, ci siamo sentiti membra di uno stesso organismo, a partire dai concittadini."
Il rischio più profondo di questa crisi è quella di perdere una grande opportunità di cambiamento. Sé non riusciamo a leggere questo segno come il suggerimento per ripensare in mondo diverso da prima, allora le sofferenze patite saranno vane.