ANTONIO MEZZANOTTE.
Vi racconto una storia che pochi conoscono. Qualche tempo fa mi trovavo a Caramanico Terme (PE) e, curiosando tra le viuzze del paese, mi sono imbattuto nella mole della chiesa di San Domenico. Bel rosone in facciata, due leoni stilofori ai lati del portale gotico (i leoni, originariamente in pietra bianca, sono neri di muffa e sporcizia e sarebbe auspicabile una ripulita di tutto l'insieme). Girando sulla fiancata destra, poco dopo il portalino cuspidato, ecco risaltare la scultura di un simbolo araldico all'interno di una nicchia.
A prima vista mi pareva di averlo già incontrato altrove, ma dove? Pensa e ripensa, si accende la lampadina: è l'arma araldica dei d'Aquino, feudatari di Caramanico fino al 1493 (lo saranno di nuovo dal 1640, ma con un altro ramo, originario forse di Taranto). Che ha di speciale? È uno scudo torneario (quello utilizzato per i tornei cavallereschi, dalla punta arrotondata e tacca laterale per far passare la lancia) con bande e un leone, sormontato da un cimiero dal collo e testa di aquila, inserito in un riquadro con cartiglio e cornice dalle scritte ormai illeggibili. Tutto qui?
Ebbene, in origine lo stemma dei longobardi d'Aquino era lo scudo bandato, senza leone, che venne aggiunto dopo che Francesco III d'Aquino, conte di Loreto e Gran Siniscalco del Regno di Napoli, nel 1415 sposò Giovannella, figlia di Francesco del Borgo, marchese di Pescara, il cui simbolo araldico era un leone rampante. La chiesa di San Domenico fu completata proprio nei primi decenni del 1400, quando lo stesso conte d'Aquino fece realizzare anche il campanile di Santa Maria Maggiore (1432), sempre quì a Caramanico; i conti tornano.
Ecco allora che ci si presenta questa singolare figura: Francesco, detto Cecco, del Borgo, detto anche Cecco del Cozzo, Cecco di Vanni da Senno, ma anche Cecco de lo Cazo (absit iniuria verbo), nato nel 1350 a Senno nel Mugello (una frazione dell'odierno comune di Scarperia e San Piero a Sieve - FI), iniziò ben presto la carriera militare, ma a 23 anni dovette fuggire da Firenze poiché reo di omicidio e rapina.
Si rifugiò a Napoli e dopo un decennio lo ritroviamo nelle grazie della regina reggente Margherita d'Angiò e poi in quelle del figlio Ladislao. Appena questi divenne Re nel 1386, Cecco fu nominato Viceré dell'Abruzzo con l'incarico di sconfiggere i baroni ribelli che parteggiavano per Luigi d'Angiò, pretendente alla corona del Regno.
A capo di una forza armata di 2700 soldati, fu protagonista di furiose battaglie e scontri all'ultimo sangue in favore di re Ladislao. Il 20 agosto 1398 gli venne concessa la Contea di Monteodorisio, nel vastese. Nel 1402 fece costruire una cittadella fortificata nella piazza principale dell'Aquila. Al culmine della gloria, come ricompensa per i servigi resi al Re, nel 1403 fu nominato Marchese di Pescara, primo ad avere il titolo marchesale a Pescara e in tutto il Regno di Napoli. Non fu un semplice titolo onorifico, poiché Cecco si impegnò nella ricostruzione delle difese cittadine.
L'anno dopo, nel 1404, il Comune di Firenze (timoroso che Cecco gli potesse volger contro le proprie armate) per ingraziarselo cancellò la sentenza di condanna per omicidio, che ancora era in attesa di essere eseguita. Morì in combattimento a Capua nel 1411.
Ebbe un'unica figlia, Giovannella, che portò in dote a Francesco d'Aquino, conte di Loreto (il nostro Loreto Aprutino), tutto il contado di Monteodorisio con le sue tredici terre (fino a Furci e Liscia) e il marchesato di Pescara (la massa dotale era di tale consistenza da giustificare appieno l'aggiunta del leone di Cecco del Borgo al blasone dei d'Aquino). Pescara e Monteodorisio, quindi, andranno in eredità alla nipote Antonella, che nel 1450 sposò Innico d'Avalos, fedelissimo dei re aragonesi, portandogli in dote il ricco patrimonio dei Del Borgo e dei d'Aquino. Ma quella è un'altra storia.
Niente male per un toscanaccio di umili natali, che però aveva seguito con successo il mestiere delle armi, imparentandosi con una delle più antiche famiglie del Regno di Napoli, che annoverava tra i suoi antenati nientedimeno che San Tommaso d'Aquino. Il nostro Cecco fu definito sui Diurnali del Duca di Monteleone "sapio homo et signore de una gran loquela et per suo sapere montò a tanto et lo re si fidava di lui".
Tutto quanto sopra (e altro ancora, in verità) è narrato nella scultura araldica che troviamo sulla parete destra della chiesa di San Domenico (già di San Tommaso d'Aquino) a Caramanico Terme (e che riproduco nella foto allegata a questo post).