ANTONIO MEZZANOTTE
Qualche tempo fa, con grande sorpresa ho ritrovato un opuscoletto pubblicato nel 2003 in occasione della "Festa della trebbiatura di Contrada Piano Ciero di Rosciano", che fu organizzata dalle famiglie del luogo in collaborazione con l'Associazione culturale La Panarda, della quale all'epoca ero responsabile. Da quelle pagine voglio riproporre un estratto a mo' di post domenicale, sperando che possa essere ancora di un qualche interesse.
"Vogliamo tentare, a questo punto, di descrivere le fasi principali della trebbiatura qui a Rosciano, così come ce lo hanno riferito coloro che l'hanno vissuta da protagonisti. Immaginiamo l'intera lavorazione distinta in due momenti: un procedimento preliminare, nel quale sarà raccolta la materia prima (il grano) e la trebbiatura vera e propria. Il grano, come già ricordato, è tagliato con il falcetto ("la faucije") e raccolto in "manuppele" (ogni "manoppele" è costituito da due o tre "vrangate", ossia fasci di grano con le spighe rivolte tutte d'un verso). Con tredici o quattordici "manuppele" si forma "nu cavallette": "le manuppele" sono sistemati a croce, con le spighe rivolte verso l'interno, facendo in modo che solo "nu manoppele" sia posato sul terreno in funzione di appoggio. Gli ultimi tre "manuppele" sono adagiati in maniera da fungere come tetto de "lu cavallette". Questa procedura, naturalmente, è realizzata poiché il grano non è portato subito all'aia per la successiva lavorazione. Infatti, alla fine della mietitura vi è la fase intermedia della "carrature" o "ammucchie": con il carro trainato dai buoi, "le manuppele" sono trasportati sull'aia della masseria o della casa colonica e lì sistemati uno sopra l'altro in modo da formare un grosso tumulo, "la mucchia", appunto, che può assumere la forma di cubo ("mucchia quadrata") o di cupola ("mucchia a ove de paparone"). Dal momento che possono passare anche dieci o quindici giorni prima che la trebbiatrice sia collocata sull'aia, la "mucchia" deve essere riparata dalla pioggia, utilizzando un telo o, più spesso, gli stessi "manuppele" opportunamente sistemati. Le macchine trebbiatrici erano possedute da pochi proprietari: per le campagne roscianesi si ricordano, tra gli altri, Maurine d'ore (Gagliardi), Dunate de lu Zuare, Don Ernesto D'Alfonso, lu Trappetare (D'Amico) di Villa Badessa, Peppe de Giurdane, Carl'Antonie di Carpineto, Zompafenestre di Pianella e Arist di Cugnoli... Finalmente, nel giorno stabilito, la "trebbia" è collocata sull'aia. Le più antiche macchine erano legate ad un trattore alimentato a carbone o "a testa calda", tramite una cinghia di trasmissione. Al momento di incominciare il lavoro viene fatta suonare una sirena posta sulla trebbiatrice, accompagnata dal grido "Arrivate!". Una o due persone salgono sulla "mucchia", sciolgono "le manuppele" e li gettano direttamente nella trebbia aiutandosi con un forcone (in epoca più recente, invece, il grano è posto su un nastro trasportatore). La paglia, separata dai chicchi di grano, è afferrata con l'alzapaglia e depositata a parte per formare un successivo cumulo, "la serra". Quest'ultima è coperta con una intelaiatura di canne ("la mannèlle") sulla quale si inserisce "la spedeve", ossia un'erba di prato simile al grano, per formare un riparo contro le intemperie".