REMO DI LEONARDO.
Nel 1400 gli aragonesi, sovrani di Napoli, concessero alla piccola comunità abruzzese alcuni privilegi, autorizzando due famiglie ebraiche locali, i Liguccio di Dattolo e i Salomone di Anagni, a gestire un monte dei pegni e il commercio della lana, della seta e dello zafferano a L'Aquila e in altre città dell’Abruzzo. I sovrani angioini concessero agli ebrei anche di gestire scuole e cimiteri propri, praticare la loro religione e osservare le festività ebraiche; inoltre gli ebrei erano esentati da tasse speciali e dall’obbligo di indossare un segno distintivo come accadeva per le altre comunita in Europa.
I principali centri che fiorirono anche grazie al commercio ebraico furono all’epoca le città di Lanciano e Sulmona. Purtroppo poi, questa vitale comunità fu cacciata grazie all’opera di alcuni predicatori tra cui figurano non solo Giovanni da Capestrano, ma anche altri francescani, tra cui Bernardino da Feltre, tristemente noto per aver perorato l’accusa durante il processo contro la piccola comunità ebraica di Trento ingiustamente accusata di aver commesso un omicidio rituale ai danni di un fanciullo, Simonino, trovato morto nel quartiere ebraico durante la Pasqua del 1475.
La regina Giovanna II d’Angiò-Durazzo ordinò l’1 novembre 1418 agli ufficiali della provincia d’Abruzzo di non gravare l’università di Penne ed i castelli ad essa soggetti, ed in particolare gli ebrei che abitavano nella città.
Prestatori ebrei operavano a Penne nella seconda metà del secolo XV, come testimonia il fatto che nel 1478, ad esempio, Milanuccio de Podio per esigenze commerciali si rivolse ad essi e vi ricorse ancora nel 1481, quando, dovendo seppellire un congiunto, fu costretto a impegnare la vita alli Iudei.
L’espulsione degli ebrei dal Regno di Napoli decretata da Ferdinando il Cattolico nel 1510, colpì anche quelli di Penne e la città chiese per essi nel 1514 a Giovanna d’Aragona l’autorizzazione di tornare ad abitare e negoziare come in passato, anche perché questo avrebbe favorito un più celere pagamento delle tasse. La regina rispose che avrebbe provveduto, ma in realtà non ne fece niente. I cittadini rinnovarono la richiesta nel 1517, e questa volta la risposta fu negativa, perché ostava alla riammissione la prammatica del 1510.
Gli ebrei, tuttavia, tornarono lo stesso a Penne, come attesta la consegna di 800 ducati che il 9 giugno 1533 Laudadio di Benedetto di Penne, a nome della comunità, insieme ai rappresentanti di altri gruppi d’Abruzzo, fece a Lanciano a Vincenzo del Tinto di Sulmona. La somma doveva essere portata a Napoli e rimessa alla Regia Curia dopo la conferma dei privilegi accordati da Carlo V ai giudei.
L’espulsione generale del 1541 mise decisamente fine alla comunità locale ed alcuni degli emigrati si stabilirono nelle vicine Marche. Troviamo così nel 1543 a Ripatransone, come gestore di un banco di credito, un Gabriel Emanuel di Penne, che ritorna nel 1548, in società con Benedetto di Ventura di Caramanico, proveniente anch’egli dal centro abruzzese.
Una singolare vicenda fu vissuta da un’ebrea di nome Stella, figlia di Mosè della “tribù di Beniamino”. Rimasta vedova del marito Iacobo, con tre figli e quattro figlie, si convertì al cristianesimo e fu battezzata con tutta la famiglia, nella chiesa dei santi Filippo e Giacomo di Penne (1) prendendo il nome di Marta. Contrasse, quindi, matrimonio con un Antonio di Pascale de Pandis ed insieme a questi ed al cognato Domenico, presbitero, decise poi di recarsi in Sicilia, ma fu catturata da pirati turchi. La donna e il cognato furono lasciati liberi dopo un riscatto di cento scudi dati da un mercante, ma il marito Antonio fu condotto schiavo a Costantinopoli. Non avendo Marta ed i figli donde sostenersi, né il denaro per riscattare il congiunto – situazione che avrebbe potuto portare tutti, in un modo o nell’altro, alla perdita della fede cristiana –papa Paolo III concesse il 3 settembre 1548 particolari indulgenze a chi avesse prestato loro aiuto, con una concessione valida per due anni.
A Pianella l’11 settembre 1538 Aron Conforti, residente a Pianella, si dichiarò debitore nei confronti di Agostino e Maffio del Duca della somma di 43 ducati e 13 grana dovuta per una corrispondente quantità di spezie vendutagli nella fiera di Lanciano.
Il 28 marzo 1547 fu concesso a Bonifacio di mastro Salomone e ad Angelo di Pianella di gestire per tre anni un banco di prestito a Carassai (Ascoli Piceno).
Ad Alanno il 12 dicembre 1459 la Camera Aquilana consegnò 50 ducati a Ventura ebreo abitante ad Alanno con l’incarico di acquistare al miglior prezzo quanto grano gli fosse stato possibile
Il 15 febbraio 1487 la Camera della Sommaria intervenne a favore di un giudeo di A. di nome Mosè. Questi era stato costretto a consegnare al principe di Capua 50 ducati di proprietà di Sabbatuzo dell'Aquila e poiché questi reclamava da Mosè la restituzione del denaro, la Sommaria ordinò di prendere informazioni sulla vicenda, e se fosse risultato vero che la somma era stata presa per servizio del re, essa doveva essere scomputata a Sabbatuzo dai pagamenti fiscali.
Il 12 dicembre 1459 la Camera Aquilana consegnò 50 ducati a Ventura ebreo abitante ad Alanno con l’incarico di acquistare al miglior prezzo quanto grano gli fosse stato possibile
Il 15 febbraio 1487 la Camera della Sommaria intervenne a favore di un giudeo di Alanno di nome Mosè. Questi era stato costretto a consegnare al principe di Capua 50 ducati di proprietà di Sabbatuzo dell'Aquila e poiché questi reclamava da Mosè la restituzione del denaro, la Sommaria ordinò di prendere informazioni sulla vicenda, e se fosse risultato vero che la somma era stata presa per servizio del re, essa doveva essere scomputata a Sabbatuzo dai pagamenti fiscali.
A Pescara (Aterno) la notizia di un insediamento ebraico sembra dedursi da una leggenda che ha per protagonisti negativi alcuni ebrei. Essa narra che, la vigilia del Giovedì Santo del 1062 dieci ebrei, entrati nella sinagoga, spalmarono di cera una vecchia tavola e, dopo avervi disegnato una croce e i contorni di un corpo, lo trafissero con spine, con frecce e con una lancia. Tornati l’indomani nella sinagoga, videro la tavola bagnata di sangue, che colava anche a terra e si raggrumava con la polvere. Presi dal terrore, raccolsero il sangue e il terriccio in un’ampolla e la nascosero. Circa tre anni dopo, per dissidi sorti fra due degli autori della profanazione, questa fu divulgata e ne fu informato il Conte di Chieti, Trasmondo. Sotto tortura, i colpevoli riferirono quello che era accaduto: il Conte ordinò quindi di ritrovare gli oggetti legati all’evento, che furono deposti solennemente nella chiesa di San Salvatore di Pescara. La sinagoga fu trasformata in chiesa, sotto il titolo di Santa Gerusalemme, e dodici ebrei abiurarono il giudaismo e accolsero la fede cristiana.
Il racconto contiene l’armamentario tipico delle leggende della Passione, compilate con finalità edificanti o chiaramente antigiudaiche. Quanto alla chiesa di Santa Gerusalemme, essa si è conservata sino al XVIII secolo. Il complesso, a pianta circolare con cupola, ormai fatiscente fu demolito alla fine dell’Ottocento. Oggi si ritiene che le sue strutture originali non fossero quelle di una sinagoga, ma di un edificio romano, forse cultuale, databile ai primi decenni del IV secolo.
A Loreto Aprutino il 7 ottobre 1470 la Camera della Sommaria ordinò l’esecuzione di una sentenza emanata contro l’ebreo Manuele di L. a favore di Bartolomeo di Vitello di Verona.
Il 20 luglio 1533 Sabatuccio di Daniele di Loreto, abitante a Chieti, e Ventura, residente a Vasto, consegnarono a Lanciano a Tiberio di Recupito di San Severino la somma di 62 ducati per il riscatto di Rachele e Lucia loro mogli e del fanciullo Mosè catturati a Patrasso e tenuti in schiavitù dallo stesso Tiberio. Questi promise, con la fideiussione di Vincenzo del Tinto di Sulmona e di altri, di consegnare i prigionieri dopo otto giorni a Calvanico, un casale di San Severino (Salerno).
Lo stesso Sabatuccio di Daniele e gli altri rappresentanti delle comunità ebraiche d’Abruzzo, nominarono a L’Aquila Leuzio di Dattilo di Sulmona loro procuratore per negoziare presso banche o mercanti in Napoli o altrove un prestito di 5.000 ducati per pagare il contributo chiesto dalla Regia Curia per la conferma dei loro privilegi. Il contributo, che assommava complessivamente a 10.000 ducati, era una delle condizioni poste dalla Corte per la permanenza degli ebrei nel Viceregno.
Il 16 dicembre 1546 fu concessa ad Abram di Maestro Angelo, Moyse de Bucchianico e Lazzaro da Loreto la facoltà di gestire un banco di prestito a Fermo, nei termini stabiliti per i giudei della Marca di Ancona.
A Città Sant’Angelo Abram ebreo di C. fu presente alle fiere di Lanciano nel 1447 e nel 1456.
A Caramanico Terme il 7 ottobre 1485 Emanuele di Caramanico restituì a Raffaele di Elia dell’Aquila, tramite il notaio aquilano Domenico di Pizzoli, la somma che aveva ricevuto in mutuo.
Nel 1510 abitavano nella cittadina i giudei Manuel e Raphael: i loro contributi fiscali dovevano essere esatti separatamente da quelli degli altri abitanti, i cui fuochi assommavano a 455.
Il 18 giugno 1541 i due fratelli Emanuele e Benedetto Blondi di Caramanico e Dattilo Vitale di Campli ottennero la licenza, valida per cinque anni, di gestire insieme un banco di prestito in Acquaviva Picena. Una concessione uguale, questa volta per un banco a Ripatransone, fu concessa il 5 maggio 1548 a Gabriele di Emanuele e a Benedetto di Ventura di Caramanico, già dimorante a Penne.
A Tocco da Casauria il 23 aprile 1535 Leuzio di Sabato, abitante a T., e gli altri rappresentanti delle comunità ebraiche d’Abruzzo, nominarono a L’ Aquila Leuzio di Dattilo di Sulmona loro procuratore per negoziare presso banche o mercanti a Napoli o altrove un prestito di 5.000 ducati per pagare il contributo chiesto dalla Regia Curia per la conferma dei loro privilegi. Il contributo, che assommava complessivamente a 10.000 ducati, era una delle condizioni poste dalla Corte per la permanenza degli ebrei nel Viceregno.
La storia ebraica dell’Abruzzo, interrotta dalle persecuzioni per alcuni secoli, rifiorisce contribuendo a quella caratteristica peculiare e pittoresca del paesaggio costiero abruzzese: i trabocchi.
Nel 1627, dopo il terremoto sull’adriatico e il successivo tsunami, i pescatori abruzzesi avevano paura di uscire per mare.
La famiglia Veri’, di origine sefardita, decise di stabilirsi sulla costa di questa regione per sfuggire alle persecuzioni in Spagna e in Portogallo, che risalivano all’editto dell’Alhambra.
I Veri’, brillanti costruttori di ponteggi di legno compresero subito che l’attività ideale era la pesca. C’era però un problema: non sapevano né nuotare né navigare. Allora, con le abilità del loro vecchio lavoro insieme al loro testardaggine, decisero di costruire veri e propri “ponti sul mare” per gettare, attraverso un sistema di pulegge le reti nel mare.
Oggi la Costa dei Trabocchi, una striscia di terra lunga 45 miglia lungo il mare Adriatico dalle città di San Vito Chietino a Vasto sono un brand dell' Abruzzo e rappresentano la regione nell’immaginario non solo nazionale ma anche internazionale.
Vietata la riproduzione.
Note:
(1) Simonsohn,S., The Apostolic See, pp. 2643-44, doc. 2782.
BIBLIOGRAFIA:
SITOGRAFIA:
Amy K. Rosenthal / https://parchiletterari.com/parktime/articolo.php?ID=05156
https://www.ismed.cnr.it/it/convegni-2010
https://www7.tau.ac.il/omeka/italjuda/
https://ereticopedia.wikidot.com/gisberto-poggio