REMO DI LEONARDO.
Con la speranza di offrire uno strumento utile alla lettura e alla scrittura della parlata dialettale pianellese, mi accingo umilmente a scrivere questi appunti e notizie, ringraziando sin d’ora l’amico ed emerito storico e letterato Vittorio Morelli per la sua preziosa collaborazione.
La parlata pianellese appartiene all’area linguistica vestina ed è una varietà dei dialetti neolatini di tradizione pennese. Essa si situa al vertice del triangolo Penne- Colli di Pescara, assumendo, rispetto agli altri centri, Farindola, Catignano, Cepagatti, Moscufo, Villanova, Spoltore la funzione di tramite, nella direzione meridionale dell’area pennese, dei moduli linguistici, delle innovazioni e delle nuove strutture. Infatti, sarà Penne, già capitale dei Vestini, assurta fin d’allora a notevole livello culturale, poi centro della Regio IV, sede vescovile, a continuare la funzione territoriale della Provincia Valeria e, infine centro di mercato, di scambi di merci, di un rilevante artigianato, fino ad assumere la funzione di epicentro culturale e qualificare un’area territoriale dialettale che si dice pennese, distinta da quella teramana.
Come è stato già sopra accennato, il vernacolo pianellese appartiene è una delle tante varietà linguistiche del dialetto abruzzese orientale o adriatico, distinguibile dalla "pescarese" per numerosi fattori storico-linguistici: di conseguenza, se quest'ultima non oltrepassa il territorio del triangolo Pescara-Silvi-Città Sant'Angelo, quella pennese interessa territori di estensione maggiore, con epicentro Penne, che ricomprenderebbero anche i centri più meridionali della provincia di Teramo (Castelli, Arsita, Bisenti, Castiglione Messer Raimondo, Montefino e Castilenti), fino a giungere a sud al confine con la provincia di Chieti, coi centri di Cepagatti e Spoltore, e ad ovest fino ai centri montani di Civitella Casanova e Catignano.
Come si è potuto notare la prima caratteristica essenziale di tali dialetti è data dall'esito (c.d. frangimento vocalico) delle originarie "e" chiuse latine in "ò" (sòrë per "séra", nòvë per "néve", quòssë per "quésto", ecc.), cui di contro corrisponde un'apertura molto marcata delle originarie "e" aperte (bèllë per "bèllo/a", vèndë per "vento", ecc.): siccome anche le toniche fratte assumerebbero una pronuncia aperta, si assisterebbe ad un fenomeno di notevole interesse per la dialettologia abruzzese, quello cioè di due diversi gradi di apertura vocalica delle "e", che vengono pronunciate cioè entrambe in modo aperto, ma in maniera "fissa" e "convinta" per le originarie "e" aperte (bello, vento, tempo), e in maniera meno accentuata e tendente al chiuso per le originarie "e" chiuse (sera, neve, questo), che anche per influsso della lingua italiana assumono una ancor più marcata tendenza alla chiusura, determinando un quadro vocalico nel complesso non molto distante dall'italiano standard.
La seconda fondamentale caratteristica riguarda il trattamento delle "o" nei termini in sillaba libera, perché si assisterebbe ad un singolare fenomeno denominabile "inversione quantitativa", in quanto le originarie "o" latine aperte hanno determinato nei parlanti (sia in dialetto sia in italiano) una pronuncia chiusa (bónë per "buòno", cósë per "còsa", vótë per "vòlta", parólë per "paròla"), mentre viceversa le "o" latine chiuse, anche per influsso del loro frangimento in "àu", danno esito aperto (matònë da un più antico matàunë): si determinerebbe così una completa opposizione all'italiano standard nella pronuncia vocalica delle "o", situazione probalilmente riscontrabile in pochissime altre aree del centro-merdione e forse d'Italia.
Il limite settentrionale più estremo è rappresentato da Città Sant’Angelo, dove la distinzione vocalica è però mantenuta, insieme a Cappelle sul Tavo, solo per le vocali in sillaba chiusa, cioè terminante per consonante, (tétto, sotto) mentre vi è una indistinzione per quelle terminanti con esse stesse vocali, cioè in sillaba libera, dove, in maniera opposta all’isocronismo, vi è nella maggior parte dei vocaboli un unico suono aperto (“bène”, volère”, “còsa”, ecc.).
Più complesso è il caso di Spoltore, dove la distinzione tra chiuse ed aperte “pennese” è abbastanza ben evidente nella pronuncia delle sole “e”, mentre per le “o” il quadro risente delle vicine condizioni isocroniche complete di Chieti e Sambuceto di San Giovanni Teatino, per cui si ha “módo”, “cósa”, “dópo”, chiuse nettamente, a fronte di “mòndo”, “frònte” , “sòtto”, nettamente aperte. A rendere ancor più difficoltoso l’esame sta il fatto che le originarie chiuse in sillaba libera, come nei termini in – óne presentano la distinzione “pennese” nel senso di un’apertura parziale tendente spesso a chiusura. Quella spoltorese potrebbe perciò definirsi una situazione vocalica di ''transizione tra quella “pennese” e quella “teatina”.
Una totale indistinzione in tutte o quasi le vocali si riscontrerebbe nei centri più settentrionali, cioè Elice e le contigue località del teramano (Castiglione Messer Raimondo, Montefino e Castilenti), ma la distinzione ricompare a Bisenti, Arsita e Castelli, mentre a Basciano potrebbe palesarsi addirittura una condizione quasi opposta a quella di Spoltore riguardo alle "e", che qui sono indistinte indistinte", in quanto risente di Teramo, e "o" chiuse quasi come a Penne.
L’indistinzione pressoché totale vige anche a Montesilvano e, ormai forse solo in via teorica, a Pescara, dove il quadro linguistico-vocalico ha incontrato notevolissimi e ormai radicati mutamenti per il massiccio afflusso, nel corso dell’ultimo secolo, di persone con altrettante situazioni linguistiche variegate, e di provenienza sia interna, cioè dalla zona “Pennese” o di altri luoghi della provincia, ma anche extraregionale, in specie dalla Campania, dal Lazio o dalla Puglia. Nel capoluogo perciò l'originaria situazione vocalica può riscontrarsi sempre più di rado, e forse ormai solo in quartieri più isolati. In particolare relativamente alle frazioni di Pescara, quella di San Silvestro non presenta voclai aperte in quanto ultima continuazione dell'isocronismo parziale francavillese, pur essendo influenzata dalle condizioni aperte del resto della città.
AVVERTENZE IDIOMATICHE
Spesso l'interrogativo che si pone il poeta o lo scrittore dialettale è: usare per le proprie opere la trascrizione fonetica della parlata o trascrizione etimologica? Alcuni poeti preferiscono la seconda, altri, come me, hanno creduto opportuno invece usare prevalentemente la prima per non alterarne troppo i lineamenti.
ELEMENTI DI FONOLOGIA E ORTOGRAFIA
1. VOCALI
Delle cinque vocali noi non pronunziamo tonicamente che due sole la i e lau che troveremo, come vedremo dopo nei dittonghi ie, uo.
La vocale toscana a rimane intatta in qualsiasi posizione, panno = panne;sano = sane; cambia come vedremo successivamente solo quando ci si riferisce alla seconda persona singolare: tu canti = tu chiende. L’a tonica ha suono palatale aperta.
La vocale a, (intensiva), si trova davanti a molti verbi, avverbi e participi, soprattutto comincianti per ri, re ed anche ad avverbi e sostantivi: abballà, aunete, areciove, aremette, accuçe, alèste.
L’ a finale trovasi frequentemente in luogo di e, i, o nei seguenti casi, sempre che la parola preceda un’altra a cui si unisce (altrimenti la finale scade in e muta) in sostantivi e aggettivi femminili al singolare: Santa Maria = Sanda Marije, una luce bella = ‘na lucia bèlle; se Dio vuole = se Ddia vo’.
Anche nel plurale di sost. e agg. dei due generi: i guai miei = li huaja mi’, la casa nostra = la casa nostre. In qualche avverbio: come è andata? = coma jete? dove vai? = Addùa vi’? quanto vuoi? = quanda vu?= moglie mia = moja mi’/ figlia mia = feja a mi’;fame nera= fama nore.
La vocale toscana e resta immutata. Si distinguono tre sorte di e: tonica, atona interna e atona finale. La e tonica di suono stretto porta l’accento acuto pénge, prète e l’e di suono largo, l’accento grave bèlle, sènde .
L’ e atona interna non ha suono preciso, ma indistinto e di varia gradazione giòvene, desperate. Mentre l’e atona finale è muta, ossia di suono fievole, sfumato.
La vocale toscana i nella parlata pianellese in qualsiasi posizione, spesso si trasforma in e formica = fermeche; minestra = menestre.
Leggendo brani della parlata pianellese o dell’area linguistica pennese e sentendo parlare il dialetto di questo luogo, si distingue chiaramente la o intervocalica e metatetica: legna = lone; spiedo = spote; sete = sòte; Pianella = Pianolle; mela = mole; perché = peccò , quello = quolle.
La “o” spesso sostituisce la vocale tonica toscana e, mentre le vocali che sono dopo la tonica non si fanno sentire quasi mai.
I due suoni dell’o stretta e larga vengono spesso distinti dall’accento; ma se questo manca, il suono è quello della corrispondente parola italiana posso =pòzze; pozzo =pozze.
La o toscana si può trasformare anche nel dittongo uo, indicante il plurale sia se si trova all’inizio della parola o appena dopo la consonante iniziale: ossi = uosse, fossi = fuosse.
La vocale u spesso assume il suono di ou, il fumo = lu fo(u)me; il muro = lu mo(u)re; il lupo = lu lo(u)pe.
2. CONSONANTI
La consonante b iniziale toscana si trasforma in molti casi in v: bacio = vasce; bue = vove; bava = vave; budella = vedelle.Passa pure perm: biscotto = mescotte. Interno si raddoppia sempre:calebbrà, lebbre, lebberà, lebbertà.
In alcuni casi insieme alla i diventa, j:rabbia = raje;gabbia = cajole.
La c iniziale rimane intatto: casa = case, cavare = cavà, cose = cose.
Qualche eccezione quando si trova tra due vocali e che il toscano ha mutato in g: ago = ache, spiga = speche.
Il gruppo delle consonanti CR pure intatto: lacrima = lacreme; ICARE in ECA’ fabbricare = fabbrecà.
La sillaba finali ceinnanzi alle iniziali a, o, u, subisce la elisione; il nostro dialetto unisce nella pronunzia le due parole; nella scrittura si usa interporre una - iper mostrare che c, è palatale, ossia di suono dolce e non gutturali, ttredec-a-anne; ma per semplicità scriveremo questa ‘m bacce assòle invece di ‘mbacc-i-a ssòle.
Dopo il mono-sillabo ci, davanti alle dette vocali, segneremo un piccolo tratto ad indicare la unione delle due parole: ci-ogne; che cci-ufà? Quando la c ha suono debole o scempio, viene indicato con una c avente la cediglia ç: lu caçe, çiuçelle, neçione, cameçe.
La lettera d iniziale rimane intatta ma spesso riceve la protesi di a: a detto = adotte.
Se è tonica resta d, sudare = sudà.
Mediano fra due vocali, o tra una vocale ed una consonante, purchè la seconda vocale non sia la tonica si muta in alcune casi in t: piede = pete ; padre = patre .
Invece se è la tonica, resta in d – hudò= godere; sudà= sudare.
La lettera f resta immutata. Solo quando in toscano fa gruppo con la lettera i cambia in fl : fiume = flume , fiamma = flamme .
Si tratta comunque di una forma arcaica della parlata pianellese in particolare nelle zone rurali è rimasta inalterata.
La consonante g davanti ad a, o, u, si trasforma in h, gallo = halle;agosto = ahoste;guai = huaje
gusto = huste. Interno fra due vocali forti, succede lo stesso: figura = fehure; mago = mahe.
Come nei vari dialetti abruzzesi viene addolcita dalla lettera j, Gesù = Jesù, giusto = juste, giudice= judece, giumenta= jumende.
In alcuni casi però non avviene ad esempio quando gè preceduta da n (‘n galere), oppure davanti a vocale aspirata preceduta da a (intensiva) come: ahapreecc.
La g con h (gh) passa in j, ghiotto = jotte, ghianda = janne.
Il gruppo gli in j - figli = feje, piglia = peje, moglie = moje.
La lettera h come vedremo in seguito sostituisce la v: favore = fahore; oppure quale segno vocativo e interattivo dell’a (ah Necò)!
L’ j iniziale indica un rafforzamento della i, derivante più spesso dal latino j e dal toscano gcome abbiamo appena visto sopra.L’ j mediana proveniente dal toscano gli ha suono raddoppiato se segue la tonica esempio: maggio = majje, ma è scempia se la precede, figlio = feje, fijastre; paglia = paje, pajare.
Spesso ad evitare lo iato nel corpo di parola, è inserito uno j come in alcuni termini ormai in disuso e usato solo da anziani del paese: teatro = tejatre; paese = pajose, ma la j viene di solito trascurata nella scrittura, quando nello iato si trova una icome: spijone, buscije si scrive più semplicemente spìone, bbuscìe.
La lettera l, che nella parola originaria lat. è preceduta da b, p, f, e che nell’italiano è passata in i nel nostro dialetto tornal: blanghe, plove, flume, flamme, plande, plagne; mentre l+d = ll,caldo = calle. Questa forma deriva probabilmente dalla lingua spagnolaflanco, flasco.
La m iniziale, rimane intatto. Il gruppo italiano mp passa nel nostro dialetto in bm: impossibile = ‘mbussebbele, impotente = ‘mbutende.
La n iniziale resta intatto. Così pure mediano.La consonante n quando è davanti alle vocali resta quasi sempre intatta. Accompagnadosi con le consonanti, questa muta quasi con tutte quelle con cui si unisce, mutando qualche volta anche se stessa.
NBmutasi in MM - in bocca = m’mocche, invece = m’mece.
NC in NG– incerto = ‘ngerte, incendiare = ‘ngendejà.
ND si assimila: abbondanza = abbunnanze, quando = quanne,mondo = monne, grande = granne; sindaco = senneche; fondaco = fonneche .
NV mutasi in MM: invidia = ‘mmedie, inventare = ammendà.
NF in MB – in faccia = ‘m- bacce - in fronte = ‘mbronde, confessare = cumbessà.
MutasiNP inMB – in petto = ‘m bette.
NQin NG – cinque = cengue.
NS inNZ – inseparabile = ‘nzeparabbele, insensato = ‘nzenzate.
NT in ND – Antonio = ‘Ndonie,quanto = quande.
La p iniziale resta intattopreceduta da mdiventa b:cumbare, sèmbre. Mediano nel pianellese arcaico mutasi in BB: aprile = abbrele;presepio = presebbie;lepre = lebbre.
La q (qu) rimane quasi sempre intatto – quanne, quadre, ecc. purchè non perda la u – cacche , cacchedune . Pare che sia metatesi solo in: quercia = cerque.
La r nella vecchia parlata pianellese frequentemente come la lsubisce la metatesi: fabbricare = frabbecà, castrare = crastà , capre = crape , perciò = precciò ; vergogna = vrevugne.
La consonante s può avere diversa pronuncia davanti a de t la sha sempre suono gagliardo schiacciato sderrenà, quoste, strommele; davanti a c seguito da a, o, u, o da h, la s ha generalmente suono rimesso scarpe, scope, scungiore, schezze.
In certi casi, quando nel corrispondente italiano si trovi il nesso schi, ha suono gagliardo e per semplicità si trascrive la corrispondenza in italiano schi, sche, schiaffà, schene, scherzà, schiappe, schiume, schiattà. Il monosillabo si in scè, così = cuscè.
Davanti a c seguito da e, i, ha per lo più suono forte o doppio tosce, glasce, sciapite.La doppia ss di posso diventa doppia zz, pòzze.
La t come già detto dopo la n e l raddolcisce in d: antico = andeche, momento = mumende, quanto = quande ; sentimento = sendemende.
La vdiventa h: volpe = holbe; oppure b: sbrevugne, n’abballe.
La zha doppio suono: z aspra zappe, zònghere, zòcchele; caze; z dolce quando segue ad n e talora ad l ed r: presenza, sénze, cunzeje, ecc.
3. DITTONGHI E IATO
In molte parole le vocali sono accoppiate e danno vita a gruppi particolari come dittonghi e iato.
La parola Dittongo deriva dal greco e significa suono doppio: fiume = fiù-me; fiore = fiò-re; piuma = più-me. Lo iato è la sequenza di due vocali che appartengono a due sillabe distinte e non costituiscono dittongo leone = le-o-ne, poeta = pu-è-te; teatro = te-à-tre.
4. ELISIONI E TRONCAMENTO
Dopo gli articoli: lo e la l(o) uomo = l’hommene, l(a) acqua = l’acque, l(o) orto = l’orte ecc. Inoltre il segno dell’apostrofo sta ad indicare una contrazione o una troncatura della lettera iniziale o finale: si’- tu sei, tu sai; fi’- fai; ‘nfucate = infuocato ecc.
ELEMENTI DI MORFOLOGIA
1. ARTICOLI DETERMINATIVI
Maschili sing.: il, lo, l’= lu , le , l’, femminile sing. la = la
Maschili plur. : i, gli = li , le ; femminile plur. le = le
Gli articoli determinativi plurali maschili li e le, pur differendo alcune volte nella grafia, non differiscono molto nel suono; lo stesso si deve dire degli aggettivi dimostrativi, sti e ste, ssi e sse, cheli e chele.
Il bambino = lu bardasce / le bardiesce; i gatti = li biette.
Come si nota nel plurale maschile con l’articolo le o li si aggiunge il dittongo ie al posto della a di bard-a- sce; la carta = la carte; le carte = le chierte.
ARTICOLI INDETERMINATIVI
Maschili : un , uno = nu /;
Femminili: una , un’ = ‘na , n’
2. AGGETTIVI E PRONOMI POSSESSIVI
Maschile singolare: mio, = mì’; tuo, = tì’; suo = sì’; nostro = nostre; vostro = vostre
Femminile singolare: mia, = mì’; tua, = tì’; sua = sì’; nostra = nostre; vostra = vostre;
Maschile plurale: miei = mì’; tuoi = tì’; suoi = sì’; nostri = nuostre; nostre = nuostre
Femminile plurale: mie = mì’; tue = tì’; sue = sì’;nostre = nuostre; vostre = vuostre
loro = lu lore; altri = hitre ; proprio = lu sì’.
A proposito degli aggettivi possessivi essi seguono sempre il sostantivo cui si riferisce c’è da aggiungere che sia il maschile plurale che la forma femminile singolare e plurale restano invariate.
Alcuni aggettivi possessivi, tua, tuo, mia, mio, vengono usati familiarmente insieme con madre e padre ecc. Diventano enclitici e si legano in coda: mio figlio = féjeme, mio padre = piétreme, mia madre = màmmete, tuo nonno = nònnete.
AGGETTIVI E PRONOMI DIMOSTRATIVI
questo = quoste (stù); questa = quoste (stà); quello = quolle; quosse, ssu; quella = quosse, ssà; chela / chelu; quelli = chelle; quà = annaècche; lì = annaèlle; là = annaèlle.
Come si vede, si può usare quoste o più brevemente stù, quosse o più brevemente ssu.
Si nota anche la possibilità di un rafforzativo: quoste (o stu cose) annaecche; quosse (o ssu cose) annesse; quello (chelu cose) annaelle; come a dire questo coso qua, codesta cosa così; quel coso là.
AGGETTIVI E PRONOMI INDEFINITI
Ciascuno = ugnune; nessuno = nesciune; tanto = tande; poco = poche; troppo = troppe; tutto = tutte; altrettanto = n’atrecchettande; altro = atre; ogni = ugne; qualcuno = cacchedune
AGGETTIVI QUALIFICATIVI
Spesso al posto dell’aggettivo qualificativo di grado positivo si usa il superlativo assoluto. Questo a sua volta viene esaltato ricorrendo ad una perifrasi o endiadi o termini di paragone (può essere un rafforzativo, una reiterazione).
Si dirà quindi: stinghe stracche morte = sono stanco morto; se longhe gne la Salva Reggene = sei lento come la preghiera Salva o Regina; è brutte gne la fame = è’ brutto come la fame; è doce gne lu miele = è dolce come il miele; è amare gne lu file = è amaro come il fiele.
Il plurale dei sostantivi, aggettivi, participi non accentati è dato dal cambiamento della vocale tonica, purché non sia i od u, plurale interno per esempio: lu cane = li chine; bèlle = bielle; lu pose = le pese; la hatte = li hiette; ma il femm. resta inalterato: la case= le case; la sore = le sore. Analoga metafònesi della tonica si osserva anche nella flessione verbale: je parle, tu pierle; je vote, tu vete; je aresponne, tu arespuonne; je sone, tu sune; je peje, tu peje.
Per il superlativo per lo più si usa la forma perifrastica: la cchiù belle; lu cchiù forte; nu sacche bbelle, ‘na freche bbelle, ecc.
3. PRONOMI CON FUNZIONE DI SOGGETTO
io dormo= je dorme
tu dormi = tu duorme
egli dorme= hosse dorme
noi dormiamo = no’ durmome
voi dormite= vo’durmote
essi dormono = hesse dorme
4. I VERBI
Gli ausiliari Essere ed Avere si scambiano con facilità, sia con i verbi transitivi che intransitivi: haje magnate e so’ magnate; haje partete e so’ partete; ecc.
Quando i verbi sono della 1^ e della 3^ coniugazione si accenta la vocale finale: candà = cantare; cascà = cadere; durmè = dormire.
L’infinito è sempre tronco ed apocopato; quando poi i verbi sono della 2^ coniugazione, la finale non viene accentata anzi diventa muta: corre, vode, crosce, screve; manca il futuro, che viene supplito dall’unione dell’infinito del verbo che si coniuga con un verbo servile che esprime il futuro, cui supplisce per lo più con il presente, del verbo volere = vulò = je vulesse magnà = io mangerò.
L’ausiliare del verbo essere viene nel nostro dialetto sostituito quasi sempre dall’uso costante dell’ausiliare avere e in tutti i perfetti composti, àje state = sono stato. Il verbo riflessivo è costruito con avere: m’àje ardecrejate.
Le persone del verbo nel vernacolo pianellese sono: je = io; tu = tu; hosse = egli; no’= noi; vo’ voi; hesse = essi.
Presende indicativo verbo avere = Avò: àje - hì’- hà - avome - avote / ha
Imperfetto: avoje – aveje – avoje – avahàme – avahàte – avoje.
Perfetto: avoje – aveste – avesse – avesseme - aveste – avesse.
Presende indicativo verbo essere = Esse: sò’- sì’- hè- no’ some – sote - hesse hè (hanne hè)
Imperfetto: here – hire – here - sahàma – sahàte – here(ne)
Perfetto: Fusse – fuste – fusse – fussasame – fussassate – fusse.
Presende indicativo 1^ Coniugazione verbo cantare = candà:
cande - chiende - cande – candome - candote – candene.
Imperfetto: candoje- candeje- candoje – candahàme – candahàte - candoje(ne)
Perfetto: candove – candeste – candò – candesseme – candeste – candese.
Presente indicativo 2^ Coniugazione verbo scrivere = screve:
screve - scrive – screve - screvome – screvote – screve(ne)
Imperfetto: scrivoje – scriveje – scrivoje – screvahàme – screvahàte – scervoje(ne)
Perfetto: screveve – screveste – screvese – screvemme – scriveste – screvese.
Presende indicativo 3^ Coniugazione verbo dormire: durmè.
dorme - dorme - dorme - durmome – durmote - dorme(ne)
Imperfetto: durmoje – durmeje – durmoje – durmahàme - durmahàte – durmoje(ne)
Perfetto: durmoje – durmeste – durmese – durmassame – durmeste – durmese.
5. AVVERBI
Avverbi di luogo: quì-quà = annàecch; giù = jù; su = ammonde ; quaggiù = acchijùsotte ; quassù = acchesù; sopra = sopre; sotto = sotte; lì e là = annàelle; davanti = annienze; dietro= arrete dentro = dontre; fuori = fore; vicino = vecene ; lontano = lundane; ci = ce ci ; ne = ne ; vi = ve.
Avverbi di tempo: ora, adesso = mo’; mai = mi’; sempre = sembre/ prima = preme; dopo = dope oggi = uoje; dopodomani = doppedumane; giornalmente = ugne juorne; mensilmente = ugnemose annualmente = ugne anne; periodicamente, raramente = ugnetande ; spesso = sposse.
Avverbi di quantità: troppo = troppe / poco = poche / molto = nu sacche / niente = niende / più = chiù / meno = mene / tanto = tande / quanto = quade, /quasi = quasce.
Avverbi di affermazione o negazione: si = scì (çì’) sicuramente = securamende-gnorsè (allocuzione); davvero = addavore; no = none; gnornò (allocuzione); non = nen; neanche = manghe.
Avverbi di interrogazione e dubbio: dove? = addùa / perché? = peccò? come? = coma è? quando? quanne? quanto? = quande? / forse = forse? / chisà = chesà.
6. COMPLEMENTI E PREPOSIZIONI
Complementi di specificazione e di denominazione:
di = de; dei = de le; degli = de li (la mamme de Carle; le lebbre de le bbardiesce).
Complementi di di luogo e di tempo: in = a lla; a = a; da = da; per = pe’; tra = tra; sopra = sopre; dentro = dondre; fuori = fore; sotto = sotte ; nei pressi = nnà a che lu poste ; su = allesù Complementi di compagnia e di unione: con = nghe Complementi d’agente e di causa ed efficienza:
dal = da; dalla = da lla Complementi di paragone: come = gne.
*Estratto dal Catalogo di letteratura del XII Premio di Poesia “G.Porto”, Pro Loco Pianella 2009.
Bibliografia:
E. GIAMMARCO, Storia della Cultura e della Letteratura abruzzese, 1969. Appunti sparsi.
V. MORELLI, Historiae de Planella, Tip. Cantagallo, 1979.
G. SAVINI, Saggio sul dialetto teramano, S.I.R.A.B. 1971.
G. PANSA, Saggio sul dialetto abruzzese, Forni, 1977.
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