MARCO TABELLIONE.
La poesia ci salverà? Si tratta di una domanda forse banale, forse troppo generica. La poesia ci salverà, sì certo, ma da cosa? Innanzitutto dal materialismo, dalla concezione utilitaristica della vita, che trasforma la società nel luogo del commercio e della competizione. La poesia con il suo carico di soggettività e unicità non può contemplare la lotta. La poesia rifiuta la lotta, la contrapposizione, perché esalta il singolo, l’uno, l’anima. La poesia è il miracolo dell’anima, del riconoscimento delle anime, riconoscimento del mondo inviolabile dell’interiorità che non può essere messo in discussione, che non può scendere né a compromessi né a schermaglie, che non cede al dominio, al potere, alla gerarchia pretesa necessaria, al dominio degli uni sugli altri, sia quando gli uni sono i pochi di un’oligarchia o di una dittatura, sia quando rappresentano una maggioranza infetta di conformismi, pregiudizi, e ignoranza.
Insomma la poesia è l’affermazione dell’io sulla massa, dell’individuo sull’indistinto, della diversità su una uguaglianza che è livellamento e omologazione. La poesia è la possibilità dell’espressione, della creazione, ma anche il riconoscimento della collettività, perché essa è riconoscimento dell’altro, rifiuto di mettersi in contesa con l’altro, risveglio della propria anima ma anche visione dell’anima altrui, è la civiltà nella sua più alta espressione.
Scriveva Giuseppe Porto insegnante e poeta a cui è dedicato il nostro premio: “La poesia è un miracolo: prodotto misterioso dell’arte e della civiltà, essa è appannaggio di poche creature privilegiate, che la poesia sentono e soffrono profondamente, rifiutando improvvisazioni e compromessi”. Un passo entusiasmante e stimolante, dove però non si tarda a notare il privilegio che il nostro autore assegna all’arte poetica, considerandola un’attività per pochi, per coloro che imparano ad amarla e a scriverla.
In realtà la speranza è che la poesia smetta di essere una dimensione privilegiata, che possa finalmente comunicare a tutti la propria utopia, la propria aspirazione alla grande libertà, quella di tutti, aspirazione al potenziamento del consorzio umano come sognava Leopardi nella “Ginestra”, ma nello stesso tempo alla possibilità che tutti possano trovare la propria individualità in questa globalità che è il mondo degli uomini. E, diciamocelo francamente, il mondo sarebbe davvero un posto migliore se tutti o quasi tutti perdessero cinque minuti della propria giornata a pensare e a scrivere una poesia e tutti potessero per quei cinque minuti fermarsi, contemplare il mondo e contemplarsi, posare la propria ansia, il proprio irrefrenabile desiderio di non si sa che cosa, questa corsa assurda di tutti contro tutti, di tutti contro tutto, questo ammassare continuo, questo inseguire incessante il desiderio inconcepibile della crescita, della somma, dell’ammasso, di tutto, tecnologia, ricchezza, occasioni, persone, conoscenze, poteri, conquiste, domini, vittorie (non si bene poi di cosa e per cosa e , infine, di chi); ammasso di incontri, denaro, oggetti, soprattutto oggetti, con cui riempiamo la nostre esistenze pensando di poterla in questo modo risolverla.
Risolvere i problemi con un acquisto, ecco il tarlo, il rovello continuo contro cui la poesia si oppone e scaglia la sua fragile e al contempo potente parola. La pretesa di questa nostra civiltà di trovare la soluzione alle esistenze solo negli strumenti, solo nell’industria, nei prodotti, nella compra impazzita di tutto. La poesia all’opposto propone ben altro, propone il raccoglimento, la concordia, guardare gli altri e guardarsi, e comprendere, alla fine, che non è mica poi così tanto complicata la vita, non è mica poi così difficile, non è questa salita che ti vogliono far credere, non è neanche questa fatica, forse dolore, forse il dolore sì, forse a volte abbattimento, tristezza, nostalgia, ma anche rinascita, sollievo, conforto, il conforto di vedere che in conclusione basta davvero poco per essere pienamente felici, basta una parola, basta avere il coraggio di pensarla, di crearla e offrirla agli altri, basta questo per riscattarci, davvero poco, così poco che spesso è difficile, purtroppo, vederlo, così poco, quel tanto poco, così poco nella tremenda lotta. Ma è il nostro compito: cercare quel “poco”, aggrapparci a lui, resistere e difendere, con la poesia e grazie alla poesia, l’umano che è in noi.
MARCO TABELLIONE, Catalogo, Premio Nazionale Lettere, Arte e Scienze, , Selezione di Poesia " Giuseppe porto", 22 dicembre 2018, paggine 84-85-86.