DIEGO TROIANO
E' con spirito riflessivo ed in estrema solitudine che mi accingo a licenziare questo secondo numero di Ceramiche Abruzzo. Rassegna di Studi Ceramici.
A quasi due anni dall’edizione del volume zero e del volume primo devo constare, con amarezza, di non essere riuscito, pur essendomi dato da fare, a conseguire una forma di sostegno economico, naturalmente solo per realizzare il prodotto tipografico finale, al fine di percorrere più speditamente e con più risorse la strada intrapresa.
Da questo deduco che in Abruzzo, ma sicuramente sarà così anche da altre parti, è molto complicato emergere ed imporsi, anche nel campo culturale specifico di questo mio interesse, se non si hanno solidi agganci con gruppi di potere ovvero con gruppi di persone legate da comuni interessi, clan, consorterie o lobby. Da vari anni, per far fronte a questo stato di cose, ho maturato la consapevolezza che l’unica reazione possibile è produrre ossia convogliare tutte le forze, come si è fatto in questa occasione, nell’edizione critica degli studi.
La ricerca scientifica è alla base, in ogni ambito, e quindi anche in questo ceramologico, della conoscenza e dello stimolo al conseguimento del fattore innovativo. Quest’ultimo rappresenta, senza ombra di dubbio, l’aspetto da valorizzare anche nell’ambito economico, sempre però con uno sguardo rivolto alla tradizione. Così come è avvenuto qualche decennio fa, quando l’indagine archeologica condotta dall’Archeoclub di Pescara a Castelli, confluita con la mostra di Pescara del 1989, ha permesso di assegnare al piccolo centro sotto il Gran Sasso la straordinaria produzione cinquecentesca ovvero le ingobbiate e graffite, la cosiddetta tipologia Orsini - Colonna, le turchine e i compendiari. Non da ultimo l’indagine condotta con metodo scientifico ha avuto anche la capacità di fissare, in maniera precisa ed inequivocabile, l’inizio della produzione ceramica castellana fra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500.
Immediatamente dopo tutti gli imprenditori ceramici del paese si misero a riprodurre le nuove tipologie riscoperte, dando un grosso slancio o scossone anche all’allora stanca economia del piccolo paese.La ricerca, quindi, è alla base anche di un potenziale incremento di tipo economico! Oltre a Castelli cito altri noti centri di produzione ceramica abruzzesi, nella maggior parte dei casi oggi con un’economia depressa ed asfittica nonché privati della consapevole importanza del loro posto all’interno della storia ceramica.
Nel pescarese Bussi sul Tirino, per ampiezza il secondo centro di produzione ceramica abruzzese con ben diciassette manifatture ceramiche attive nella prima metà dell’Ottocento e con un indotto gravitante tutto sulla componente ceramica, oggi è noto alle cronache principalmente per i disastri ambientali avendo completamente trascurato, se non dimenticato, l’economia sulla quale la popolazione ha basato la propria attività per due lunghi secoli. Allo stesso modo si comporta il centro di Torre de’ Passeri, sempre nel pescarese, con una potenzialità praticamente inespressa rispetto all’importanza storica dell’artigianato ceramico presente in paese dalla metà del ‘600 fino all’inizio del ‘900. Nessun centro abruzzese, e lo dico con amarezza, conosciuto in passato per la ceramica, promuove adeguatamente oggi il suo importante patrimonio culturale con ricerche, iniziative editoriali, nonché mostre, convegni o istituzioni museali, tranne Castelli, anche se ha interrotto da anni la pubblicazione di “Castelli.
Quaderno del Museo delle Ceramiche”, uno dei pochi e rari spazi di promozione e conoscenza della ceramica della nostra regione. In questo panorama e con molte difficoltà, quindi, presento questo numero di Ceramiche Abruzzo. Per quanto riguardo i Centri di produzione, viene proposto un mio saggio sui cinque secoli di storia della famiglia Cappelletti di Castelli, ramo di Serafino, nel quale si individua, e precisamente si posiziona (attraverso le fonti archivistiche), la loro bottega seicentesca (ma sicuramente più antica) sita nella cosiddetta “via fra le due porte”, corrispondente all’attuale via Silvio Antoniani.Questo lavoro ha offerto, inoltre, lo spunto per la ricostruzione storica delle botteghe presenti nell’intero isolato oggi compreso fra la Piazza del Mercato, la Piazzetta della Cona e via S. Antoniani. Ed ancora, nello stesso articolo, si fa il punto sulle mattonelle dell’altare di San Michele di patronato della famiglia, proponendo il nome di Francesco Cappelletti come decoratore delle suddette maioliche e ricostruendo un primo ed inedito catalogo di quest’ultimo. Si segue, infine, la storia dei Cappelletti emigrati all’inizio del Settecento nel pescarese a Torre de’ Passeri, con l’identificazione, anche in quest’ultimo centro, della casa e soprattutto della manifattura ceramica.
Poi ancora si racconta l’emigrazione di Stefano Cappelletti a Pretoro ed infine di Fabio Cappelletti a Rapino in provincia di Chieti.Per quanto riguarda il capitolo relativo alle Tipologie, si presentano due saggi sulle maioliche dello Storicismo nelle Marche ed in Umbria. Federico Malaventura analizza lo Storicismo a Pesaro mentre Ettore Sannipoli si occupa di quello eugubino.Per le fonti archivistiche come Metodologia di ricerca, si fa il punto sulla famiglia Barnabei arrivata a Castelli da Ancona nel tardo Seicento ed attivi come vasai nel paese sotto il Gran Sasso per oltre tre secoli. La ricerca di carattere genealogico è l’occasione per approfondire ed allargare, anche in questo caso, alle notizie inerenti i traffici commerciali di maioliche ad Ancona e Senigallia, i trasferimenti di maestranze a Montegallo nelle Marche e la precisa collocazione della bottega di Tito Barnabei in Via Giardino.
Si è documentato in particolar modo, come visto sopra per i Cappelletti, anche la storia, a partire dal Seicento, delle botteghe ceramiche presenti nell’intero isolato compreso fra via Scesa del Borgo e Via Giardino. Questo lavoro è stato dedicato alla prossima ricorrenza del centenario della morte di Felice Barnabei (1842-1922), il personaggio più noto ed illustre della famiglia.Nel capitolo dedicato alle Tipologie, presento un mio saggio sulla scoperta dell’inedita “produzione moderna” di Riccardo Ricci degli anni ‘40 del ‘900, presso lo stabilimento SPICA di Castelli. Una produzione ancora tutta da riscoprire, con tangenze tardo Decò, che allargano gli angusti orizzonti castellani dell’epoca verso un panorama ceramologico nazionale di più ampio respiro. Federico Malaventura fa conoscere, nell’ambito del Collezionismo, un inedito boccale, custodito oggi presso i deposti dei Musei Civici di Pesaro, dipinto nel 1917, probabilmente da Ferruccio Mengaroni, per i festeggiamenti di S. Antonio Abate (protettore dei ceramisti) all’interno della sua manifattura e che reca i nomi di tutti i lavoranti all’epoca presenti nella fabbrica stessa.
Infine, Dinos Koyias (Kogias), all’interno del capitolo sui Traffici commerciali, recupera, attraverso un interessante lavoro di ricerca, l’inedita maiolica di Castelli dal ‘500 al ‘700 (in particolar modo quella in stile compendiario e tardo compendiario) presente oggi in Grecia da rinvenimenti e da antiche collezioni pubbliche e private.